martedì 23 settembre 2008

Fùtbol

Stasera match di calcetto. Colgo l' occasione per fare il serio ( ieri sera serata moolto demenziale, bisogna ripigliarsi un pò ) e postare parte di un racconto di Osvaldo Soriano, una gran bella pagina di fùtbol.


“Arìstides Reynoso era un personaggio del calcio a Valle del Rio Negro ed entrò nel Platense che era ancora un ragazzino, nel cinquantadue, mentre Elvis faceva la sua apparizione sulle copertine dei dischi ed Evita moriva. In campo, Arìstides prendeva la palla e cominciava a fischiare. Fischiava canzoni contadine, cuecas cilene e qualche vidalita della sua terra natale. Dietro quella musica, certo, nascondeva una storia inconfessabile.

Ho ricordato il suo incedere stanco durante una partita, nell’istante in cui el Gallego Gonzalez, con i suoi trentatre anni sulle spalle, segnò verso lo scadere del tempo il goal della vittoria del San Lorenzo. Poche ore prima aveva perduto il padre. In modo lento e doloroso, lo stava perdendo da quasi due anni, e sua madre passava quasi tutto il giorno all’ospedale. Nel corso della sua vita in campo, el Gallego aveva segnato centocinque goal in non so quanti club e allora, a quell’età, aspettava una nuova occasione sulla panchina delle riserve. Veira lo fece entrare negli ultimi venti minuti ed ecco lì el Gallego, che non aveva dormito ed era arrivato poco prima dalla camera ardente, prendere di testa il primo passaggio decente che gli avevano fatto.

Sono così le storie del calcio: risate e pianti, pene ed esaltazioni. Gonzalez corse con le braccia sollevate in alto per salutare la memoria del padre. Aveva le lacrime agli occhi e i suoi compagni piangevano con lui. Di quella pasta sono fatti i goleador. Fantasmi che vengono fuori da un posto qualunque. Arìstides Reynoso è stato uno di loro e io, che ho giocato con lui quando avevo diciassette anni, l’ammiravo così tanto che gli davo del lei, imitavo il suo modo di portare i calzoncini sotto la vita e i calzettoni legati con un nastro scarlatto. A volte quando perdevo un contrasto con il portiere, mi veniva vicino e mi spettinava con le sue zampe da formichiere. Un giorno mi invitò in un bar per parlare, vicino alla fermata dei pullman, e mi raccontò che anche lui, da piccolo, avrebbe voluto affacciarsi alla finestra, ma trovava soltanto una persiana chiusa. – Ma se uno impara a guardare, attraverso la fessura vede la luce, ragazzo, - mi disse. – Falla passare di là, come passano le farfalle”.


(Tratto da "Arìstides Reynoso" di Osvaldo Soriano)

Nessun commento: